da: Annali di discipline filosofiche dell'Università di Bologna, n.4, 1982-83
NOTA
INTORNO AL NUOVO DIBATTITO SULLO STATUS DELLA MATEMATICA
di C. Dapueto e P.L.
Ferrari
Nel corso degli
ultimi anni il dibattito sullo status della matematica ha
assunto nuovi connotati ed è divenuto più vivace
rispetto agli anni cinquanta e sessanta: anche se possiamo
ancora trovare atteggiamenti metafisici, l'indagine sembra
collegata più direttamente alla pratica matematica, e, in
particolare, alle dimostrazioni, piuttosto che diretta a dare
una sistemazione definitiva al problema dell'esistenza (e/o della
natura) degli oggetti e dei fenomeni matematici.
Questa diversa e
rinnovata attenzione ai problemi fondazionali ci sembra in gran parte
una conseguenza indiretta degli ultimi sviluppi della matematica (per
un panorama cfr. [32]): la crescita dei vari settori della matematica
e gli intrecci fra essi (settori "classici", logica
matematica, categorie, statistica e probabilità, modelli
matematici, scienza dei calcolatori...) e fra la matematica e le
altre scienze (non soltanto quelle fisiche e tecniche, ma anche
quelle biologiche, economiche e sociali e le altre scienze
"qualitative"), così come il sempre più
esteso ricorso alla matematica nell'organizzazione della società
e nella vita quotidiana.
In questo articolo
forniamo una particolare interpretazione di tale processo,
riprendendo il contenuto di una comunicazione presentata al VII
Congresso di logica, metodologia e filosofia della scienza (cfr.
[7.1], [7.2]). Nel paragrafo 1 tracciamo una breve panoramica
storica, che nel paragrafo 2 viene riferita più
specificamente al costruttivismo. Nei paragrafi 3 e 4
analizziamo alcune opinioni espresse da Bishop e Goodman sulla
matematica e le sue interazioni con le altre scienze. Dopo aver
svolto, nel paragrafo 5, un breve esame di alcune reazioni
suscitate dall'uso del calcolatore in matematica pura, negli ultimi
paragrafi discutiamo alcuni aspetti del nuovo empirismo.
1. Il
lavoro fondazionale degli inizi di questo secolo si articolava
in tre programmi scientifici che non seguivano tendenze filosofiche
tradizionali ma tentavano di fondare metodi e atteggiamenti diversi
(dal punto di vista matematico) già presenti tra i matematici
(cfr. Klein [17]). Gli argomenti filosofici erano fortemente
intrecciati ai problemi che si ponevano nella pratica matematica
e nell'organizzazione della comunità scientifica (riguardo sia
alle connessioni "interne" sia ai nuovi rapporti con il
mondo esterno attraverso cui la matematica si stava sviluppando come
scienza "autonoma" - cfr. [28]).
Negli anni trenta le
diverse scuole fondazionali incontrarono difficoltà
sostanziali nella realizzazione dei loro obiettivi generali; a
partire da allora l'attenzione fu dedicata sempre più allo
sviluppo di tematiche interne relative ai singoli programmi.
In un tale contesto,
da una parte calò sempre più l'interesse "scientifico"
dei matematici per le questioni fondazionali, e gli sviluppi tecnici
relativi alla logica matematica rimasero marginali all'interno della
comunità matematica (si pensi alla scarsa diffusione
nella conoscenza e nell'uso delle proprietà dei linguaggi
elementari e, in particolare, del teorema di compattezza).
D'altra parte, il dibattito sui fondamenti divenne sempre più
separato dalla pratica matematica e confluì nelle
tendenze tradizionali della filosofia della matematica (cfr.
[23]). Menzioniamo, per esempio, l'interpretazione neopositivista del
formalismo di Hilbert (cfr. Carnap [6]) e la graduale identificazione
del logicismo con il platonismo.
La situazione venne
ulteriormente stabilizzata dalla sintesi tayloristica di
Bourbaki, che, nonostante il suo sostanziale fallimento (come lo
stesso Dieudonné ha ammesso in [9]), fu accolta con favore da
una larga parte dei matematici in quanto rassicurante rispetto sia
alle dispute filosofiche sui fondamenti, sia alle ricerche in
logica matematica.
Negli ultimi
vent'anni la situazione è cambiata. Fra i filosofi c'è stata una
reazione in senso empirista alle filosofie (ancora dominanti, anche
se interpretate in modo distorto) delle tre scuole fondazionali,
e l'attenzione si è spostata dai problemi ontologici a una
riflessione che sembra maggiormente riferita alla pratica matematica
e a un dialogo (anche se polemico) con i matematici (cfr. [19], [21],
[15]). Nello stesso
tempo i grandi mutamenti della matematica (che hanno coinvolto
anche aspetti organizzativi dell'attività scientifica e
didattica) hanno stimolato tra i matematici una nuova riflessione
sulla natura della matematica (cfr. ad esempio [37], [14], [12],
[27]).
2.
Ripercorrendo gli sviluppi del costruttivismo è possibile
esemplificare alcuni aspetti di tale processo.
L'intuizionismo di
Brouwer, rifiutando ogni distinzione fra la matematica e i suoi
fondamenti, avrebbe voluto costruire e fondare nello stesso tempo una
nuova matematica. Ma le difficoltà nel chiarire i concetti
matematici su cui basare la ricostruzione dell'analisi
matematica (si pensi al concetto di sequenza di libera scelta)
portarono le sue riflessioni filosofiche verso posizioni sempre più
idealistiche.
A partire dagli anni
trenta le ricerche "matematiche" di origine
intuizionista divennero più ricche e più articolate,
intrecciandosi a quelle originate dalle altre scuole
fondazionali (formalizzazione della logica intuizionista,
relazioni con la matematica classica, ricerca per una teoria
assiomatica dei procedimenti costruttivi,... (cfr. [28]). Ma questi
sviluppi della logica matematica non raggiunsero quasi mai una
grande popolarità fra gli altri matematici.
Tra gli anni
sessanta e settanta l'analisi ricorsiva, il costruttivismo russo
e, in particolare, il costruttivismo di Bishop (che, rispetto a
quello di Brouwer, è molto più vicino alla pratica
quotidiana dei matematici, sia nello spirito che nella realizzazione
- cfr. la prefazione di [3]) così come la teoria dei topoi
favoriscono la crescita dei rapporti fra attività
fondazionali, ricerca matematica e applicazioni. Il
costruttivismo diventa un terreno di lavoro comune per logici
matematici e matematici di diversi settori e diverse tendenze
"filosofiche". A questo proposito menzioniamo le recenti
ricerche costruttiviste in analisi funzionale, teoria degli
insiemi, teoria della misura, probabilità e algebra, le nuove
connessioni che sorgono fra l'analisi e la teoria della
calcolabilità, i nuovi programmi di analisi costruttiva delle
procedure deduttive, differenti da quelli di Hilbert e di
Kreisel,
(cfr. il volume [30]).
Anche questi
sviluppi del costruttivismo contribuiscono nel diffondere fra i
matematici la consapevolezza della natura storica della matematica:
l'obiettivo di raggiungere una fondazione "universale"
è stato sostituito dalla ricerca di fondazioni "multiple"
e dall'elaborazione (e revisione) di idee e risultati che mettano in
evidenza i modi e i processi attraverso cui si svolge l'attività
matematica (per tale atteggiamento non metafisico cfr. ad esempio
[29], [10], [l1] - in particolare 10 -, [1] , [2]).
3. Nonostante
ciò, Bishop propone un'interpretazione filosofica del suo
programma in parte affetta da dogmatismo. Criticando l'astrattezza
delle dimostrazioni concettuali, egli ritiene che la matematica
debba essere realizzata soltanto per mezzo di dimostrazioni
"computazionali" (tale opinione è bene esplicitata
in [5]).
Inoltre, a sostegno
di ciò, egli afferma che soltanto la matematica
strettamente computazionale può essere applicata alle scienze
sperimentali, trascurando le applicazioni alle scienze economiche,
sociali,..., che sarebbero giustificate, secondo lui, soltanto
dall'arroganza dei matematici (cfr. [4]). Queste opinioni, e
l'interpretazione riduttiva delle scienze sperimentali in esse
implicita, presentano alcune analogie con le nuove filosofie
empiristiche della matematica che discuteremo più avanti.
A proposito delle
polemiche contro le dimostrazioni non computazionali, Goodman
(in [13]), discutendo la filosofia del programma di Bishop,
mette in luce come sia le dimostrazioni "costruttive"
sia quelle "concettuali" presentano proprie
caratteristiche forme di evidenza e di generalità: una
dimostrazione concettuale fornisce una maggiore "chiarezza
di comprensione" e in molti casi suggerisce che il teorema è
vero per altre strutture, mentre una dimostrazione costruttiva
fornisce una maggior "chiarezza di visione" e può
indicare che il teorema è vero in contesti logici deboli.
4.
A proposito del ruolo della ricerca matematica, Goodman trova alcune
analogie fra essa e la ricerca nelle altre scienze; secondo lui (a
differenza di Bishop, che ritiene la matematica una creazione della
mente e, in quanto tale, assoluta e oggettiva) c'è un unico mondo che
deve essere studiato, e ogni disciplina scientifica si occupa di
alcuni aspetti ditale mondo. Così, compito dello scienziato
(matematico o fisico) è scoprire la sua porzione di mondo,
non crearla.
A questo riguardo
egli propone una filosofia della scienza (e, in particolare, della
matematica) basata sul cosiddetto "principio di obiettività":
tutto ciò che è reale nella pratica è reale
obiettivamente (cfr. [12]).
Certamente egli
differisce dai platonisti (ammettendo nel suo mondo oggettivo le
discipline applicate alla stessa stregua di quelle pure), ma la
sua identificazione della scienza con la "scoperta" di
strutture già esistenti sembra non cogliere la profondità
(e, quindi, la obiettività) dei rapporti dialettici attraverso
i quali si sviluppano le forme di conoscenza e di interpretazione del
mondo, e i bisogni e i progetti degli uomini.
La storia della
matematica ci offre una grande quantità di esempi a questo
proposito. Si pensi ai complessi processi attraverso i quali,
nel secolo diciottesimo, è nata la matematica pura: ad
esempio quelli attraverso cui si è giunti alla introduzione
di nozioni di continuità e di infinito "autonome"
dall'intuizione e/o dalla metafisica o a quelli attraverso cui dalle
funzioni viste come regole fisiche si è passati alla nozione
puramente matematica di funzione. Tali processi, così
come le successive e continue costruzioni e sistemazioni di concetti
matematici, non possono essere descritte solo in termini di
"scoperta" di qualcosa di preesistente.
5. Un
esempio interessante a proposito di come la ricerca in matematica
dipende anche dalla ricerca in altre discipline è dato dallo
sviluppo dei calcolatori. Attualmente il calcolatore ha un largo
impiego non solo nella matematica applicata, ma anche in quella pura
(nella sperimentazione numerica di congetture così come nella
dimostrazione di teoremi) e il suo uso è oggetto di ricerca
matematica (da problemi specifici quali l'analisi delle "modifiche"
che l'impiego del calcolatore può apportare a proprietà
di una funzione continua o di altri oggetti matematici, alle varie
aree della scienza dei calcolatori: complessità del calcolo,
complessità dei circuiti, applicazioni della teoria delle
categorie alla semantica dei linguaggi di programmazione,...).
Il ricorso al calcolatore in matematica pura dà luogo
alla reazione di chi interpreta in modo statico la ricerca
matematica. Da una parte troviamo posizioni estreme, come quelle
di Truesdell [35], che considerano l'uso del calcolatore come del
tutto estraneo all'attività matematica. D'altra parte c'è
chi ritiene che l'uso del calcolatore non offra la stessa certezza
logica dell'intervento diretto della mente umana, in quanto esso
dipende da leggi empiriche (cfr. Tymoczko [36]). Perfino Goodman (in
[13]), in apparente contraddizione col suo principio di
obiettività, concorda in parte con tali opinioni. Tuttavia va
osservato che anche la mente umana è regolata da leggi
fisiche, che non sono meno complesse di quelle su cui è
basata l'esecuzione di un programma da parte di un calcolatore.
La dimostrazione del
teorema dei quattro colori è stata portata come esempio
di dimostrazione senza certezza assoluta di validità. Ma,
come è sottolineato bene da Swart [33], è necessario
distinguere fra errori logici ed errori materiali: gli errori logici,
se ve ne sono, possono essere trovati nel programma, mentre quelli
materiali sono più probabili in calcoli della stessa
lunghezza eseguiti "a mano".
6. Tali
argomenti sono stati usati da alcuni empiristi per sostenere la
tesi della natura sperimentale della matematica e per polemizzare
contro le dimostrazioni deduttive; ma nei loro ragionamenti le
dimostrazioni informali vengono spesso confuse con le derivazioni
sintattiche (si pensi a una derivazione formale, nell'aritmetica
di Peano, del risultato di una semplice moltiplicazione: essa di
certo non è facilmente controllabile dalla mente umana).
Davis e Hersh, ad
esempio, considerano non affidabili le procedure deduttive, e
ritengono che solo i ragionamenti analogici e le dimostrazioni
accettate "socialmente" sono (e devono essere) alla base
dello sviluppo della matematica (cfr. [8]). Tale visione
soggettivista della matematica male si accorda però con la
stabilità dei risultati (e delle dimostrazioni) su cui la
matematica è stata costruita (cfr. [25]).
Tuttavia uno storico
come Morris Kline, attraverso una ricostruzione del passato
apparentemente obiettiva giunge (in [18]) a una conclusione ancor più
distruttiva: le dimostrazioni non sono utili, la matematica è
intuizione, lo sviluppo formale dell'ultimo secolo l'ha ridotta a un
gioco separato dalla scienza. Comunque, l'analisi storica di Kline,
oltre a non prendere in considerazione l'attività matematica
del nostro secolo (proprio quella a cui non riconosce valore
scientifico), ricostruisce in modo arbitrario i momenti decisivi
(nascita del rigore matematico, crisi dei fondamenti), come è
messo bene in evidenza da Lolli [25].
Queste posizioni,
così come quelle di Lakatos e di Kalmar, concordano nel
criticare il metodo assiomatico e nel proporre (ai matematici) una
concezione della matematica che ne liberi le "sane"
tendenze sperimentali.
Essi non si rendono
conto che il metodo assiomatico non è incompatibile con i
reali processi di scoperta e di sviluppo delle teorie, e che lo scopo
delle assiomatizzazioni non è tanto quello di assicurare
l'assenza di contraddizioni, quanto quello di proporre concetti
nuovi: ad esempio gli assiomi della teoria degli insiemi, spesso
presentati come strumento finalizzato a "escludere" usi
incoerenti, in realtà vanno intesi in senso "positivo",
come presentazioni di una versione matematica del concetto
(pre-matematico) di classe; analogamente si può pensare, ad
esempio, alla definizione matematica di algoritmo (tesi di
Church) o agli assiomi per i numeri iperreali (cfr. [16]).
7.
Dinanzi al persistere di tali visioni metafisiche della matematica
(e delle interpretazioni statiche e prescrittive della attività
matematica ad esse connesse) ci possono essere differenti tipi di
reazione: dalle polemiche forse un po' semplicistiche ma salutari da
parte del matematico colto contro tali filosofemi (come [31]), agli
argomenti che confutano puntualmente le motivazioni storiche
prodotte dai sostenitori di tali idee (come [24], [26]), alle
proposte di nuovi atteggiamenti da parte dei filosofi (come [34]).
Tuttavia è
probabilmente indispensabile che venga condotta un'analisi storica in
profondità e senza "pregiudizi" delle situazioni
in cui sono stati costruiti ed elaborati gli strumenti e le
dimostrazioni matematiche e che la nascita e gli sviluppi della
matematica come "scienza autonoma" siano oggetto di
un'indagine che tenga conto delle tensioni conoscitive esistenti
nel più ampio contesto culturale, economico e produttivo.
Note
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